Catechesi di S.E. Mons. Massimo Camisasca in occasione del Giubileo dei Diaconi

28-06-2016-diaconi

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Il Diacono: chiamato a essere dispensatore della carità nella comunità cristiana. Catechesi ai diaconi permanenti d’Italia in occasione della loro giornata giubilare

 

Carissimi diaconi,

sono contento di essere qui con voi in questo giubileo a voi dedicato. Mi piacerebbe conoscervi uno ad uno, ma mi è impossibile. Cercherò allora di esprimere la mia stima e la mia gratitudine per tutti voi attraverso le mie parole, che spero possano essere utili alla vostra vita. Mi è stato chiesto di tenere una catechesi per aiutarvi a entrare nel cuore del vostro ministero: essere dispensatori della carità nella comunità cristiana.

Sono vescovo in una diocesi che ha il dono di un grande numero di diaconi permanenti. Sin dall’inizio del mio episcopato ho dedicato tante energie alla conoscenza e alla cura di questo dono, tanto da scegliere come tema della mia prima lettera pastorale proprio il diaconato permanente. E ad essa mi rifarò spesso in questa breve riflessione che faccio con voi.

 

 

Vocazione al diaconato permanente come fioritura del battesimo

 

Desidero subito superare la tentazione di parlare del vostro ministero in senso funzionale, come se esso fosse definito dal tipo di servizio che siete chiamati a svolgere. Il rischio dello specialismo nella Chiesa è sempre alle porte e normalmente ci allontana dalla verità della nostra vita.

Il diaconato permanente, prima di ogni sua espressione, è fondamentalmente una vocazione, cioè una strada della nostra consegna personale a Dio. La vocazione al diaconato, se pure si può manifestare attraverso i suggerimenti e il confronto con alcune persone o attraverso l’indicazione della comunità, è e resta una chiamata di Dio, di cui bisogna rispondere a Dio. Una vocazione, che pur passando attraverso la comunità, viene da Dio e a Dio deve tornare.

 

Voi siete, come me, innanzitutto dei cristiani che il Signore, nel battesimo, ha chiamato e inserito nel suo corpo mistico. La nostra vita, la nostra vocazione, non è altro che la fioritura del nostro battesimo che rimane la radice fondamentale della nostra appartenenza a Gesù e alla sua Chiesa.

Ogni vocazione che nasce da un dialogo personale tra Dio e l’uomo, tra Dio e la donna, matura, si sviluppa e si compie nell'introduzione della persona nella comunità cristiana. Il battesimo ci inserisce nel corpo di Cristo. Anche l’eremita più silenzioso e lontano è un eremita cristiano in quanto partecipa alla vita di tutta la Chiesa; lo farà attraverso la sua preghiera per la Chiesa, attraverso la partecipazione alla liturgia domenicale o quotidiana, oppure attraverso l’offerta della sua vita per il bene di tutta la Chiesa e di tutti gli uomini. Esiste infatti un profondo legame fra l’unità della Chiesa e l’unità di tutti gli uomini, come dice all’inizio la Lumen Gentium quando definisce la Chiesa come segno e strumento dell’unità dell’universo[1]. Il cristianesimo è la vita della Trinità nel mondo, cioè la vita di persone che hanno una propria identità personale ma che, nello stesso tempo, sono chiamate alla comunione.

Riscoprire questo significa riscoprire una fonte immensa di gioia per tutti noi. Già su questa terra, in questo tempo, fra le luci e le ombre di questa vita, ci è dato di partecipare a ciò che resta per sempre: l’Eterno è già nel tempo e l’Eterno nel tempo è questa comunione che ci è data di vivere attraverso il battesimo nella incorporazione a Cristo.

 

Noi non possiamo conoscere noi stessi se non attraverso delle distinzioni. Nella nostra vita, tuttavia, non si succedono tante vocazioni, anche se a volte si ha l’impressione di vivere tante esistenze. Ma per Dio ogni uomo ha un solo nome e quindi una sola vocazione. E questa è per ciascuno quella battesimale, che matura poi in diversi modi, secondo le strade scelte dal Signore.

Riandare al battesimo, perciò, vuol dire riandare a ciò che è essenziale nella nostra vita: l’immedesimazione con la vita di Cristo (cfr. Ef 4,5). Solo entrando in questa prospettiva possiamo comprendere come la vocazione originaria sia arricchita da nuovi doni (matrimonio, ordine, consacrazione a Dio,…) che si innestano nella vita di ognuno in funzione dell’edificazione della Chiesa.

 

 

La missione del diacono

 

Come per ogni vocazione, anche quella al diaconato permanente si specifica sempre in un compito che tuttavia non la esaurisce mai. L’essenza del ministero è la chiamata di Dio al suo servizio. L’espressione di tale servizio deve rinnovarsi continuamente nell’ascolto della volontà del Signore che ci parla innanzitutto attraverso il vescovo e i nostri fratelli. Come afferma significativamente la CEI negli «Orientamenti e norme» rivolti ai diaconi permanenti in Italia: «La vocazione al diaconato non è semplice momento di organizzazione dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell’intera comunità»[2].

 

Oggi nelle diverse Chiese locali il servizio del diaconato permanente è vissuto e interpretato in diversi modi: alcuni hanno inteso la parola “servizio” soprattutto come servizio all’altare, altri come servizio della carità, altri ancora come servizio della predicazione.

Di fatto, la Lumen Gentium si esprime così: «Sostenuti dalla grazia sacramentale, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio, essi servono il popolo di Dio nella “diaconìa” della liturgia, della parola e della carità»[3]. Perciò, pur in proporzioni diverse, a seconda degli incarichi, dei carismi e delle necessità della Chiesa, nessuno di questi tre aspetti deve mancare nel ministero concreto di un diacono. «A seconda delle circostanze – scrive san Giovanni Paolo II – l’uno o l’altro di questi può assumere particolare importanza nel lavoro individuale di un diacono, ma questi tre ministeri sono inseparabilmente uniti nel servizio del piano redentore di Dio»[4]. In ogni caso – come ha recentemente ricordato il cardinale Beniamino Stella – la pluriformità dei compiti che il diacono permanente può svolgere trova il suo ordine nell’«accettare e adempiere l’incarico affidatogli dal Vescovo, come prescrive il can. 274, 2. Ne consegue però anche l’opportunità da parte del Vescovo di precisare l’ambito in cui svolgerà il suo ministero, essendo il diacono un chierico strettamente collegato al suo servizio»[5].

 

 

Servitore della comunione

 

I diaconi sono stati storicamente istituiti per il servizio della carità. In realtà dietro questa parola è possibile raccogliere tutti e tre i servizi di cui abbiamo parlato (liturgico, caritativo e catechetico). Ognuno di questi compiti, infatti, è ordinato all’edificazione della vita ecclesiale, del Corpo di Cristo nella storia, della vita divina che Gesù ci ha comunicato che è essenzialmente carità. La carità del Padre che invia suo Figlio per salvarci, la carità del Figlio che ci redime attraverso la sua Parola e i suoi Sacramenti, la carità che è lo Spirito in quanto ci rigenera e ci rende strumenti della misericordia di Dio.

 

A partire da queste brevi considerazioni, se dovessi esprimere in modo sintetico il compito del diacono direi che egli è chiamato a servire la comunione all’interno della Chiesa. La parola comunione, infatti, descrive la realizzazione e la testimonianza più grande della carità. È la vita stessa della Trinità che vive nella comunità cristiana.

Tuttavia, se da un lato essa è una realtà realizzata in modo oggettivo dai sacramenti e quindi ricevuta come dono, dall’altra è anche un evento dinamico, che richiede un cammino, un’educazione, una continua conversione del cuore.

Sappiamo tutti quanto le nostre comunità siano a volte attraversate da tensioni, fatiche, rivalità, litigi. Tutto questo non ci deve scandalizzare. Era così anche nella comunità primitiva. Deve invece metterci in cammino, con umiltà, pazienza e una continua richiesta di aiuto a Dio nella preghiera, coscienti del fatto che Cristo ha legato alla comunione vissuta il segno supremo della sua permanenza nella storia.

 

Che cosa ha a che fare tutto questo con la vostra vocazione? Io penso che voi abbiate un compito fondamentale in ordine alla comunione delle nostre comunità. Comunione tra presbiteri e laici, per esempio. Siete come un naturale punto di congiunzione e di unità tra queste due realtà del Corpo di Cristo. Tutte le nostre categorie possono servire ed essere utili, ma solo fino a un certo punto perché la realtà, per fortuna, è più grande di tutte le nostre divisioni, anche canoniche, che pure sono necessarie ma non devono diventare delle gabbie dentro cui chiudiamo la realtà.

 

Alimentare e testimoniare la comunione, vuol dire innanzitutto una vita di preghiera e di rapporto con il Signore che vi faccia sempre più entrare nella sua capacità di perdono, di comprensione, di mitezza, di umiltà, di mediazione. La lontananza da ogni logica di potere, dalla tentazione del giudizio sugli altri. La gioia di guardare e saper indicare sempre i punti di luce e di costruttività che il Signore non fa mancare mai, anche nelle situazioni umanamente più difficili.

I diaconi, inoltre, proprio per questo loro status di “cerniera”, possono svolgere un grande ruolo nel necessario rinnovamento delle nostre comunità. Possono favorire la nascita di una nuova realtà di parrocchia o Unità Pastorale, una realtà che si dipani dalla comunione vissuta tra presbiteri, diaconi e alcuni laici che assieme a voi portano le responsabilità della comunità.

 

 

Il diacono: presenza della Chiesa in mezzo al mondo

 

Quanto ho detto finora rispetto al cuore del vostro compito nelle comunità ecclesiali, non esaurisce certamente la preziosità della vostra vocazione.

Lo scopo stesso delle comunità non è di concentrare dei fedeli attorno al campanile, ma di inviare dei discepoli nel mondo per evangelizzarlo (Mt 28, 19-20). Il Santo Padre Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, è molto esplicito in proposito: «Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione…. Le altre istituzioni ecclesiali, comunità di base e piccole comunità, movimenti e altre forme di associazione, sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori»[6].

 

In questa prospettiva il diaconato permanente si rivela non solo come un dono in sé, ma come risorsa preziosa per l’evangelizzazione. Trait d’union tra Chiesa e società, il diacono non deve esaurire la sua responsabilità in compiti interni alla comunità, ma, innanzitutto attraverso la famiglia e il lavoro, diventare testimone di Cristo in una missione – quella della Chiesa – che ha i confini del mondo.

 

Il lavoro

 

Ordinariamente un diacono ha delle responsabilità di lavoro professionale. Ciò, lungi dall’essere un peso o un impegno che entra in collisione con la propria vocazione, è al contrario un particolare dono di grazia che allarga e approfondisce il campo del suo ministero. Voi, infatti, vi trovate a vivere molto tempo della vostra esistenza al fianco di uomini e donne che incontrate proprio attraverso la vostra professione, uomini e donne spesso lontani dalla vita delle comunità, ma ai quali attraverso di voi, attraverso la vostra testimonianza di vita cristiana, può giungere un raggio della luce che Cristo ha portato sulla terra.

Il lavoro, quindi, non è solo una parte importante del tempo del diacono permanente, ma è un campo privilegiato della sua testimonianza cristiana, un luogo proprio della sua vocazione. In esso, come accade per ogni uomo, il diacono esprime la sua personalità.

Oggi più che mai, in un contesto sociale segnato dall’individualismo, dall’edonismo e dalla ricerca del proprio interesse, è urgente la riscoperta del senso profondamente umano e cristiano del lavoro. In questo enorme campo di evangelizzazione il diacono può giungere molto più in profondità di quanto per esempio non passa fare un presbitero, non fosse altro che per la credibilità che più facilmente gli può essere accordata da coloro di cui condivide dall’interno le medesime circostanze lavorative.

La testimonianza del diacono può rendere evidente, anche senza parole, quanto il lavoro sia connesso all’amore, per sé, per gli altri, per Dio. Attraverso il lavoro l’uomo, fatto a immagine di Dio, collabora all’opera del Creatore, esprime se stesso e comprende il proprio posto nel mondo. Ma l’uomo è stato creato anche per realizzare l’amore per gli altri e attraverso il lavoro il cristiano, pur nella precarietà della vita presente, partecipa di quella ricomposizione del creato in Cristo di cui parla san Paolo nella lettera agli Efesini (cfr. Ef 1,10; cfr. Rom 8,19).

Infine il lavoro ha a che fare con l’amore verso Dio. È risposta di lode al Padre a cui offrire le fatiche e il frutto dell’opera delle proprie mani.

Di tutto questo il diacono è testimone davanti agli uomini.

 

Non dobbiamo tuttavia ignorare che il campo del lavoro esige continuamente una serie di decisioni. Occupa molto tempo della persona, molte energie fisiche, mentali e spirituali. Può mettere a rischio i rapporti con la famiglia, con gli amici e le proprie responsabilità ecclesiali. La ricerca di guadagni più alti, di promozioni o, all’opposto, la perdita del lavoro, la necessità di un’improvvisa mobilità, … sono tutte situazioni che richiedono una grande maturità.

Tutto nella vita di ogni uomo, e ancor più in quella del diacono, deve perciò essere tenuto insieme, ricondotto all’unità, vivendo cristianamente le proprie giornate. Il criterio fondamentale attraverso cui guardare alle proprie scelte non può che essere, come per ogni uomo e ogni donna, la crescita della propria vocazione. In questo caso della vocazione diaconale e – nel caso di diaconi sposati – quella matrimoniale, il bene della Chiesa a cui ci siamo affidati e che certamente ci aiuterà nei nostri momenti difficili.

So bene che i diaconi non sono dei superuomini. Essi vivono le difficoltà e le fatiche di tutti. Anche i momenti di crisi della fede.

Non dovete sentirvi schiacciati dal compito che il Signore vi ha affidato, ma invece imparare con umiltà a lasciarvi aiutare nei momenti difficili, farvi consigliare nelle scelte da compiere, lasciarvi alimentare dalla fedeltà alla preghiera e ai sacramenti. La maturità della vita cristiana non consiste infatti nella perfezione morale, ma nell’abbandono di fede in Colui che ci conosce, ci ama e continuamente ci perdona, ci risolleva, ci alimenta.

 

 

La famiglia

 

Oltre alle responsabilità ecclesiali e a quelle lavorative, vorrei qui brevemente considerare anche le responsabilità familiari che molti di voi vivono nel matrimonio. Lo stesso lavoro, attraverso cui il diacono trova il suo posto nel mondo, è profondamente congiunto alla vita familiare, in quanto attraverso di esso si contribuisce alla vita della propria famiglia e alla famiglia di tutti gli uomini della terra.

Il diacono permanente sposato è al crocevia di diverse esperienze di vita: è membro della gerarchia, ma è anche marito, padre e lavoratore. Una pluralità di dimensioni che aprono la persona del diacono alla sua missione tra il popolo e nel mondo. Questa condizione di vita merita un serio approfondimento. È davvero possibile essere allo stesso tempo diaconi, mariti e padri?

Nel matrimonio, in virtù della grazia conferita da questo sacramento, l’uomo per la donna e la donna per l’uomo sono segno efficace della presenza di Cristo, strada fondamentale per scoprire e vivere continuamente l’unità con il Signore e il suo disegno sulla nostra vita. Questo è il fondamento dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale: nell’unione tra l’uomo e la donna Cristo si unisce alla sua Chiesa e tale vincolo non può essere spezzato.

«L’amore vissuto nelle famiglie – afferma papa Francesco in Amoris Laetitia – è una forza permanente per la vita della Chiesa»[7]. Si comprende così che l’ordinazione diaconale, sviluppo del battesimo, può vivere in profonda unità storico-esistenziale con il matrimonio: è una sola vocazione ad essere “servo della comunione”. Il diacono è nella comunità un richiamo vivente alla diaconìa, al servizio ecclesiale, che tutti sono chiamati a vivere. Nel matrimonio, richiama con la sua stessa vita coniugale, all’unità della Chiesa, all’unità dei doni nell’unico corpo. È questa una grande grazia per la Chiesa! Le nostre comunità, infatti, hanno un profondo bisogno di crescere nell’unità, quell’unità che in Cristo vive della ricchezza di doni diversi, tutti cooperanti alla crescita dell’unico Corpo (cfr. 1 Cor 12,1-30). Il matrimonio è una scuola di unità e di servizio ecclesiale.

 

Ogni vocazione è personale, quindi anche quella di un diacono permanente sposato. Il vescovo impone le mani su di lui, non sulla moglie o sull’intera famiglia. D’altra parte, nel suo caso, il rito prevede la richiesta del consenso della moglie. E questa non è una vuota formalità, ma chiama in causa il legame sponsale. Infatti la moglie, con il consenso dato, riconosce la vocazione del marito e si impegna a sostenerne il futuro ministero, in modo che la grazia del sacramento matrimoniale arricchisca la donazione del diacono alla Chiesa.

La moglie è chiamata a esprimere una collaborazione attiva, affinché il ministero diaconale del marito non diventi un ostacolo all’unità del matrimonio, ma anzi contribuisca ad accrescerla. Nello stesso tempo la Chiesa deve avere «una particolare attenzione anche alle spose dei candidati, affinché crescano nella consapevolezza della vocazione del marito e del proprio compito accanto a lui»[8].

 

In ogni matrimonio, per l’azione della grazia, nasce una comunione di vita profonda. Tutto ciò non accade senza la collaborazione della libertà degli sposi. Senza un giudizio condiviso sull’uso del proprio tempo. È importante che il diacono viva momenti di preghiera con la propria sposa e, se possibile, anche con i propri figli. Dice il Vaticano II riguardo agli sposi: «per far fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana, si richiede una grande virtù; per questo motivo i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la solidità dell’amore, la grandezza d’animo e lo spirito di sacrificio e lo chiederanno nella preghiera»[9]. La preghiera stessa aiuterà gli sposi a camminare assieme, a maturare un comune sentire, a decidere assieme. Proprio questa necessità, di modulare la propria vita nella pazienza che sa attendere l’altro nel prendere delle decisioni, aiuterà il diacono a vivere una giusta dimensione del suo ministero. Lo aiuterà a non esaurirsi in un numero eccessivo di attività, servendo Cristo nella misura delle sue possibilità e nel rispetto degli impegni presi verso la propria famiglia e il proprio lavoro. Occorre quindi un discernimento continuo e una capacità continua di correzione nella determinazione degli orari della propria giornata e nell’intensità delle proprie attività e responsabilità. Alcuni esempi: un diacono non può trascurare la propria famiglia uscendo fuori casa tutte le sere, soprattutto quando nascono dei figli o cominciano a crescere. Moglie e figli hanno diritto a una parte significativa del tempo del loro marito e padre. Essi non sono un’appendice della vita e del ministero del diacono, ma il luogo primario nel quale egli è chiamato a vivere la sua vocazione. Ritengo che su questo siamo chiamati a riflettere profondamente.

 

Sono ben consapevole di quanto sia difficile e talvolta problematica la vita delle famiglie. Con queste mie parole non ho voluto descrivere una famiglia ideale, e perciò impossibile a trovarsi, ma piuttosto una linea di tensione, una grazia da invocare. Anche il diacono, come tutti gli sposi, vive momenti di difficoltà, di incomprensione. Può avere l’impressione che il suo matrimonio corra grossi rischi. Può sentirsi, assieme alla moglie, lontano dai propri figli e dalle loro scelte. Tutto ciò non contraddice l’immagine sopra descritta. Indica piuttosto la grandezza di una vocazione in cui si incontrano e si sostengono due sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, entrambi radicati nel battesimo. Con l’aiuto di Dio, il consiglio del vescovo, di presbiteri, diaconi o famiglie, ognuno di voi è chiamato a vedere le difficoltà, assieme alla propria moglie, come un’opportunità mandata da Dio per riscoprire, nella fede, la propria vocazione e un abbandono filiale al Signore, sapendo che Egli non chiede a noi cose impossibili, perdona le nostre colpe e ci aiuta a camminare in avanti, verso di lui.

 

 

Conclusione

 

       Desidero a conclusione di queste brevi riflessioni, indicare quello che a mio parere è il segreto della vita di ogni cristiano, il cuore della sua formazione, e particolarmente della vostra, chiamati a vivere negli ambienti principali della vita dell’uomo, quali il lavoro e la famiglia.

 

Il diacono deve custodire sempre un tempo per il silenzio, per la recita della Liturgia delle Ore, per la meditazione della Sacra Scrittura, per la partecipazione alla Santa Messa, se possibile quotidiana. Tutto ciò è già vivere la sua vocazione diaconale. Certo, essa non si esaurisce in questa radice profonda. Vive poi nel contatto con la gente e nella testimonianza di Cristo offerta in parole e in opere. Ma senza una radice adeguata, l’albero della vocazione crescerà incerto e pericolante.

Moltiplicando le attività non cresce necessariamente la nostra santità. Bisogna uscire da una visione moralistica dell’esistenza, segnata da una somma di doveri a cui spesso non si riesce a rispondere, con l’impressione frustrante di non riuscire a vivere appieno la propria vocazione.

 

La vocazione al diaconato permanente, soprattutto quella di un uomo sposato, è una vocazione complessa, ma può essere vissuta, con l’aiuto di Dio, in vera pienezza. Esige grande preghiera, un intenso amore alla comunione, soprattutto con la propria moglie, e comporta spesso grandi responsabilità. Ma Dio dona, a chi gliela chiede, una grande libertà, cioè una grande confidenza in Lui. Egli riempie dei suoi doni coloro che ha scelto e apre nel loro cuore una strada che può essere percorsa con continua fiducia e rinnovata consapevolezza.


 

[1] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, 1.

[2] Conferenza Episcopale Italiana, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme [1993], 10.

[3] Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, 29.

[4] San Giovanni Paolo II, Allocuzione ai diaconi permanenti degli Stati Uniti, 19 settembre 1987, 3.

[5] Beniamino Stella, La visione e le aspettative sul diaconato nell’insegnamento pontificio, in: Atti del XXV Convegno Nazionale sul diaconato permanente in Italia («Il diaconato in Italia», settembre/dicembre 2015, 67).

[6] Francesco, Evangelii Gaudium, 28-29.

[7] Francesco, Amoris Laetitia, 88.

[8] Conferenza Episcopale Italiana, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme [1993], 27.

[9] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes, 49.